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6 Settembre 2021

LGBTI: UNA SFIDA PER LA MEDICINA DEL NUOVO MILLENNIO

Evoluzione del rapporto medico paziente

LGBTI: UNA SFIDA PER LA MEDICINA DEL NUOVO MILLENNIO

Il tradizionale rapporto medico-paziente, cardine e base della medicina olistica del passato è in crisi profonda nell'attuale sanità sociale e solidaristica italiana, in virtù dei profondi cambiamenti culturali, sociali e comunicativi relazionali di questi anni. E' importante individuare, in sintonia con il tempo attuale, una rete dinamica della formazione professionale che permetta di recuperare e rivalorizzare il vecchio tradizionale rapporto medico-paziente, modificandolo culturalmente. Innovazione culturale non semplice, che necessita preliminarmente del coinvolgimento attivo di quanti sono coinvolti direttamente in ambito medico, mondo accademico e professionale e, in prima istanza, studenti e pazienti.

Attualmente si stima che gli LGBTI rappresentino il 10% della popolazione, ma tale stima non tiene sicuramente conto di una quanti non sono ancora dichiarati per evidenti timori discriminatori, nel contesto sociale culturale e religioso, in cui vivono.

La sigla LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali) di recente viene ampliata con quella di LGBTIQ+, includendo i soggetti definiti "QUEER" cioè indecisi (termine che significa letteralmente "strano - bizzarro") o che non si identificano con una precisa identità di genere e il simbolo + ad indicare ogni possibile altra variante).

Soprattutto tra i giovani, avanza l'idea di quella che il sociologo BAUMAN chiama "società liquida o fluida", perfetta rappresentazione di una epoca postmoderna, svincolata da schemi mentali e comportamentali rigidi.

  
Pertanto, se per lesbiche, omosessuali, bisessuali, la distinzione riguarda un particolare orientamento sessuale, ma non necessariamente negando la propria identità di maschio o femmina, il problema diventa più complesso per coloro che non si riconoscono nel proprio ruolo sociale e anagrafico maschile o femminile o addirittura di entrambi.

In questo ambito si inseriscono le problematiche dei transgender (coloro che decidono liberamente di affrontare un cambiamento di sesso, con terapie ormonali ed interventi chirurgici) e soprattutto quelle connesse ad una categoria ancor più sommersa in passato, che è quella degli intersessuali o ermafroditi, che alla nascita presentano caratteristiche sessuali ambigue e che ancora oggi sono vittima di arbitrari interventi terapeutici in età pediatrica, decisi da medici e genitori. Il dramma di questi bambini è enorme, perche quello che si è o che si sarà da adulti, non si cancella con una correzione chirurgica, aggiungendo ulteriore sofferenza nel ritrovarsi in un corpo non solo non riconosciuto e non desiderato, ma anche mutilato.

Il diritto ad una peculiare e personale identità di genere, grazie alle battaglie per il riconoscimento di pari diritti e dignità del popolo LGBTI, richiede da parte della classe medica, una responsabilità deontologica e professionale nei confronti di questa ampia platea di pazienti, spesso discriminati anche in ambito sanitario, soltanto per il loro orientamento sessuale. In tale ottica il dermatologo assume un ruolo centrale, sia perché gran parte degli interventi terapeutici richiesti da questi pazienti riguardano il loro aspetto esteriore, spesso in contrasto con la relativa identità anagrafica, sia perché le patologie dei genitali le MTS e la VENEREOLOGIA, sono peculiarità professionali proprie del DERMATOLOGO.

Seguire un paziente che ha iniziato un percorso transgender, significa farsi carico con competenza, delle terapie ormonali effettuate o in corso, risolvere problemi legati alla epilazione, alla fotoesposizione o alla cura della pelle in generale, tenendo conto delle rispettive esigenze, differenti da quelli di un individuo maschio o femmina cis-gender. Le abitudini sessuali di questi pazienti devono essere prese in considerazione, senza pregiudizi, per affrontare problemi riguardanti la sfera genitale e le malattie sessualmente trasmesse. Possiamo trovarci di fronte ad un giovane paziente, accompagnato dal genitore per un banale problema cutaneo (acne, dermatite), che manifesta segnali di disagio nel rapporto con il proprio corpo, che il medico deve saper riconoscere. Sono infatti i bambini e gli adolescenti quelli che pagano il prezzo più alto della discriminazione e del disagio sociale, perché questo si manifesta spesso in ambito familiare, un contesto che non può essere vissuto come ostile in tenera età. Tra gli adolescenti con problematiche legate a disforia di genere inoltre, si registra la maggiore incidenza di tendenza al suicidio. Nel 2019 l'AIFA ha inserito nell'elenco dei medicinali erogabili dal SSN, la triptorelina (utilizzata nel trattamento di tumori del seno e della prostata) in modalità off label. Il farmaco, che appartiene alla famiglia dei bloccanti ipotalamici, agisce sul sistema endocrino e sospende la pubertà in maniera temporanea, consentendo di estendere lo spazio temporale di riflessione su di sé negli adolescenti, il cui sviluppo si manifesti in modo doloroso e incongrue con la propria identità sessuale, intesa come "disforia di genere". Questa possibilità terapeutica, già diffusa ampiamente in America, nonostante le grandi polemiche suscitate in ambienti conservatori, potrebbe rappresentare una scelta, sicuramente da riservare a situazioni accuratamente selezionate, da valutare caso per caso, dove altri interventi psicoterapeutici siano risultati inefficaci e sotto stretta comprensione di un consenso informato, espresso come libera scelta.

I una società dove si dà per scontato che le persone siano eterosessuali o cis-gender, per quelle che non lo sono, questa può essere un'esperienza distruttiva. Peraltro non bisogna confondere l'omosessualità occasionale con la disforia di genere. Tali esperienze sono frequenti in ambienti coatti come le navi-cargo, le carceri, le comunità religiose, dove le circostanze obbligano gli individui a cercare rapporti intimi con soggetti dello stesso sesso, senza per questo esprimere un’omosessualità conclamata o latente, o senza che quel soggetto si sentirà omosessuale in futuro. In definitiva LGBTI non si diventa ma si è, come dimostrato da numerosi studi che chiamano in causa fattori genetici, epigenetici ed ormonali (nella vita intrauterina). In natura esistono oltre mille specie in cui si osservano comportamenti omosessuali consolidati e duraturi. Il pregiudizio che l'omosessualità possa essere "contagiosa" alimenta l'omofobia e ha dato origine a teorie complottistiche, sull'indottrinamento omosessuale, prive di qualsiasi fondamento, se non fuorvianti e pericolose.

Il ruolo del medico e in particolare del dermatologo, deve essere quello di stabilire un rapporto di fiducia ed empatia con tali pazienti, imparando a capire le loro esigenze terapeutiche, senza assecondare richieste dannose, ma aiutandoli a conseguire i migliori risultati possibili, con competenza e avendo a volte, anche l'umiltà di imparare per affrontare una nuova sfida.

Bibliografia

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Dott.ssa Carla Ceddia - Specialista in Dermatologia e Venereologia - Coordinatrice del Gruppo Dermatologia dei genitali e Venereologia - ADECA